L’ULTIMA CROCIERA: Intervista all’autrice
di Ambrogio Arienti
28 ottobre 2024

Conosco la storia dell’Arandora Star da quando ero bambina, da quando mia mamma raccontava a me e mio fratello dello zio Guido che aveva donato il suo giubbotto salvagente ad un altro naufrago e che poi, colpito da un pezzo di legno, morì annegato. Solo da adulta però ho capito l’importanza e le implicazioni di questa storia e me ne sono appassionata. E non solo perché oltre allo zio Guido, altri 47 bardigiani (di 445 vittime in totale) sono morti nel naufragio. Bardi è il paese dove è nata mia madre e dove si ritrova la mia famiglia ogni estate. Anche io sono bardigiana. Ma non c’è solo questo, c’è la questione dell’emigrazione di moltissimi italiani che avevano bisogno di un lavoro e di una vita dignitosa, e poi c’è la questione del mare e della legge del mare. In mare va salvata ogni vita umana. In mare siamo tutti fratelli. Dovremmo. Nel 1940 ma anche oggi.
Questo è il tuo esordio romanzesco. Cosa ha significato per te scrivere un romanzo storico? Quanto tempo hai impiegato per scriverlo?
Di scrivere qualcosa sull’Arandora ragionavo da almeno vent’anni e all’inizio, poiché ho lavorato molto come sceneggiatrice, pensavo al soggetto per una miniserie televisiva. Ho deciso di farne un romanzo nel 2019 e ci ho lavorato (anche lasciando passare qualche mese tra una revisione e l’altra) fino a giugno 2023. Amo molto il periodo della seconda guerra mondiale sin da quando, in quinta elementare per l’esame, ho preparato una ricerca sulla resistenza. Amo Fenoglio (Milton di Una Questione Privata è stato un modello per il mio protagonista), la Ginzburg, la Morante, Pavese. Ma ho adorato anche La Cruna Dell’Ago. E anche i libri di storia veri e propri (Il secolo breve su tutti). Scrivere un romanzo storico è stato per me un’occasione di approfondimento e anche di poter levare la fantasia su una quotidianità diversa e per me quasi mitica. È stato un lavoraccio ma anche un piacere grande.
C’è qualcosa del tuo lavoro di attrice teatrale che è entrato nel romanzo?
Scrivo dall’interno, dalla testa e dal cuore dei personaggi. Entro dentro di loro come facevo quando recitavo. Non so fare in altro modo. Quello che vedo da dentro, che immagino e che sogno, adesso lo porto fuori con le parole invece che con il corpo e con la voce ma il principio iniziale del lavoro è assolutamente lo stesso.
Stranieri nemici è anche la storia dell’amore di Jacopo e Harriet. Puoi presentarceli?
Jacopo è un ebreo veneziano che, emigrato dopo le leggi razziali, lavora a Radio Londra. Ama la letteratura e lo studio del Talmud Torah e dentro di lui c’è ancora qualcosa del ragazzino timido e secchione che veniva preso in giro perché non ci sapeva fare con le ragazze. È un idealista e gli è più facile pensare che agire. Ma sarà costretto dalle circostanze a cambiare, a esporsi, a lottare. Anche perché altrimenti sarebbe stato impossibile seguire il suo ideale morale: dico quello che penso, faccio quello che dico.
Harriet è il contrario di Jacopo, impulsiva e opportunista. È ragazza madre e tenere accanto a sé il piccolo Ismay di sei mesi è la cosa per lei più importante. Per questo lotta ogni giorno. La sua vita è complicata, quella lavorativa (è impiegata di guerra in una sezione del Ministero degli Interni che si occupa di controllare i possibili stranieri ostili in suolo britannico) ma anche quella sentimentale e personale. L’incontro con Jacopo le cambierà la vita.
Un altro importante personaggio è Wolf, un marinaio a bordo del sottomarino tedesco che affonderà la nave. Che ruolo ha questo personaggio? Quanto è importante per lui avere con sé una copia di Moby Dick?
Da autrice posso dire che Wolf non esisterebbe senza Moby Dick. Il romanzo di Melville, i suoi personaggi, lo aiutano a leggere una realtà altrimenti assurda e incomprensibile. È un soldato semplice e l’amore per la letteratura (di nuovo ma in modo molto diverso da Jacopo, forse più elementare) gli salva la vita.
La storia di Wolf è nata in me quando le vicende di Jacopo e Harriet erano già abbastanza chiare. C’era bisogno di un terzo sguardo, dovevo dar vita a quella parte in gioco che non poteva diventare solo la caricatura del male. Mi sono immersa nella lettura dei diari di Gunther Prien, in testi storici (ma anche romanzi) che parlassero della guerra sottomarina, sono rimasta folgorata dal film U Boot di Wolfgang Petersen e dal libro sul quale il regista si è basato (ancora una storia vera). Ma ho avuto bisogno di rileggere Moby Dick perché tutto trovasse il suo posto.
Qual è il personaggio a cui sei più legata, e perché?
Nel leggere questa domanda mi si è materializzata davanti agli occhi la scena del Border Collie che gioca col suo padrone, un giovane pastore, sull’isola di Colonsay e che, il secondo guardiamarina Amelung Von Arendorf osserva, sorridendo, col cannocchiale. Il cane è in realtà una cagnolona, Daisy, crazy Daisy e comparirà solo in qualche scena. Riesco proprio a vederla. Amelung invece mi stringe il cuore. È un personaggio minuscolo ma importante. Anche per Wolf. Dei protagonisti però sono affezionata soprattutto a Harriet. Forse è scontato ma la sua maternità un po’ “mammifera” era la mia e tutti i piccoli gesti di Ismay non li ho inventati ma li ho ricordati. Erano quelli dei miei bambini.