Da grande volevo fare la corrispondente da Mosca. “Russia moralizzatrice” di Marta Allevato

di Marta Allevato

20 febbraio 2024

Da grande volevo fare la corrispondente da Mosca. “Russia moralizzatrice” di Marta Allevato

Sono fortunata: ho realizzato un sogno e non solo professionale, ma di vita. Da grande non volevo semplicemente fare la giornalista. Volevo fare la corrispondente da Mosca.

Il volto e la voce di Demetrio Volcic al Tg1, che sullo sfondo delle stelle rosse del Cremlino aprivano una finestra sul mondo oltrecortina, hanno sempre esercitato un’ipnotica fascinazione sulla me bambina. Poi, sono arrivati Dostoevskij, Čechov, Majakovskij, la musica classica, i dissidenti, il cinema a trasformare quella fascinazione in un amore strutturato e più razionale.

Ho iniziato a studiare lingua e letteratura russa all’università quando il Paese era in default, nel 1998, e la mia scelta era apparsa a molti a dir poco naif. Dopo quasi venticinque anni, non me ne sono ancora pentita: quella decisione è stata fondamentale per la mia carriera e dal punto di vista umano mi ha regalato l’esperienza di conoscere una cultura e un popolo in cui coesistono picchi di sensibilità e di violenza, dolcezza e brutalità, scienza e arte, tristezza e gioia di vivere.

Proprio dall’interesse per i russi e le loro vite è nata la ricerca che ha portato a questo libro: “La Russa moralizzatrice”. Più che un saggio, è una sorta di lungo reportage sul cortocircuito tra propaganda e quotidianità. L’ho scritto in pochi mesi, tra la primavera e l’estate del 2023, ma avevo iniziato a immaginarlo undici anni prima. Il mio trasferimento per lavoro a Mosca, nel 2011, è coinciso con un evento cruciale per il Paese e, come ci siamo poi resi conto molti anni dopo, anche per l’Europa: la svolta conservatrice di Putin, eletto nel 2012 per un terzo mandato, e il suo avventurismo sulla scena internazionale.

Mentre imparavo a conoscere i russi in carne ed ossa, dopo averli studiati solo su libri e giornali, seguivo l’evoluzione della propaganda ufficiale, che si riappropriava dell’antica idea di “Mosca Terza Roma”, erede dell’impero ortodosso bizantino. Non trovavo nessuna corrispondenza tra i “valori tradizionali” che predicava il Cremlino come collante della nuova ideologia putiniana e lo stile di vita e le aspirazioni di gran parte dei russi.

Sul tema ho iniziato a raccogliere interviste, articoli, a parlarne con amici e colleghi russi, a vedere film. M’interessava capire quanto gli sbandierati slogan su patriottismo, famiglia e fede – in nome dei quali si varavano leggi liberticide e s’istruivano processi – avessero riscontro nella vita vissuta.

Mi sono unita alle file di fedeli fermi al gelo per baciare sacre reliquie; ho seguito amiche cristiane praticanti in pellegrinaggi sulle tombe di sante che avrebbero assicurato loro di trovare marito; ho festeggiato un addio al nubilato in una scuola di sesso orale; sono andata a vedere film, in cinema che gruppi di fanatici ortodossi minacciavano di far saltare in aria perché blasfemi; ho partecipato a serate gay nei locali più trendy di Mosca e marciato con i giovani e le famiglie della classe creativa che per la prima volta, in massa, sfidavano Putin reclamando elezioni libere e democrazia.

L’idea di fissare in un libro il cortocircuito tra la propaganda moralizzatrice e la vita vera dei russi si è fatta più concreta solo una volta ritornata in Italia, solo dopo che l’invasione dell’Ucraina ha squarciato il velo su quello che avevo visto gradualmente prepararsi sotto i miei occhi negli anni a Mosca: l’operazione di distacco culturale e valoriale della Russia dall’Occidente, il suo proclamarsi “altra Europa”, aspirando a cancellare secoli di contaminazione reciproca.

Il 24 febbraio 2022 ha segnato anche questo divorzio. Quando il Patriarca di Mosca, poco dopo, ha definito la guerra in Ucraina come una crociata contro la “lobby gay” mi è sembrato importante, al di là delle considerazioni geopolitiche, strategiche ed economiche, puntare un faro su questo aspetto meno trattato del conflitto: la cornice ideologica dentro cui Putin – con l’appoggio della Chiesa ortodossa russa – invia i suoi carri armati oltre confine e i riflessi che questo sta avendo dentro il Paese. Perché la propaganda dei valori tradizionali è soprattutto un’arma di controllo e uno strumento per reprimere il dissenso e sta trasformando la natura del regime come quello della sua società.

Scrivere “La Russia moralizzatrice” è stato soprattutto un viaggio indietro nel tempo, in quella che oggi appare come una fase di vere e proprie illusioni – dell’opposizione russa, ma anche di una buona parte dell’Europa – sulla possibilità che una Russia ancorata attraverso rapporti economici e politici all’Europa potesse condividere nelle sue istituzioni i valori alla base della democrazia liberale occidentale.

Mi ha sempre colpito la crescente tensione tra la rigidità della propaganda ufficiale e la libertà individuale che molti cercavano di perseguire, alcuni pagando un prezzo molto caro. I russi sembrano paralizzati in una sorta di limbo, costretti a confrontarsi con un’ideologia impostagli dall’alto, ma desiderosi di esprimere la propria identità in modi non sempre conformi agli ideali promossi dallo Stato.

Spero che il libro possa contribuire ad aprire una finestra su una società complessa, a volte contraddittoria, sicuramente meno compatta di quello che pensiamo nel consenso al suo leader.

Potrebbero piacerti