Briciole sul sentiero delle formichelle
di Alessia Castellini
6 maggio 2024

Quando ho iniziato a scrivere questa storia eravamo in tre a cercare una strada. C’ero io, con una stilografica di seconda mano e un taccuino pieno di spunti: annotazioni per esercitare lo sguardo sul quotidiano, scalette che in cuor mio sapevo che non avrei mai rispettato – era un periodo in cui stavo dimostrando a me stessa quanto fossi brava a mandare all’aria i progetti di una vita – e il nome di un’agenzia letteraria segnato nell’ultima pagina, a matita come a voler sognare in grande ma senza troppa convinzione.
C’era il personaggio di Ninfa, una ventenne bravissima a creare piccoli giardini in barattoli di vetro e a chiudercisi dentro. Perché il mondo, con tutte quelle aspettative sociali che non voleva soddisfare, le faceva tremare le gambe. Perché i genitori l’avrebbero voluta diversa e non facevano nulla per nasconderlo.
E poi c’era il personaggio di Alelì, sorella di Ninfa: una bambina di otto anni innamorata della scienza, che aveva smesso di credere nelle favole perché un giorno si era svegliata e la sua vita era cambiata per sempre.
Le trasportatrici di limoni della Costiera Amalfitana sono arrivate per caso nelle nostre vite e lo hanno fatto in punta di piedi, con contegno e dignità. Scoprire quanto poco si sapesse di loro e della loro storia ha acceso il mio bisogno di sapere. E non ho esitato un istante: ho fatto la valigia e con i miei personaggi di carta sono entrata in un nome che è allo stesso tempo luogo e poesia, Tramonti, e poi sono scesa fino a Maiori, sulla costa, dove ho conosciuto una delle ultime trasportatrici. Ci siamo tenute per mano, mentre mi parlava delle condizioni di vita e di lavoro estreme in cui le donne hanno lavorato per secoli tra i sentieri che collegano i Monti Lattari a Maiori e Minori, in fila indiana con pesantissime ceste sul collo come formichelle operaie, mandando avanti l’economia del limone e non solo. Fatica disumana, violenza domestica e immenso amore per la propria terra: questi erano spesso i tre concetti-chiave della loro esistenza. É ascoltando quelle parole in maiorese stretto e tradotte da sua figlia Margherita, che nel mio cuore sono nati i personaggi di Rachele e Nannina.
L’accoglienza della gente del luogo mi ha sorpresa e commossa: non riuscivano a credere che qualcuno li vedesse, che volesse sapere di più su di loro, sulle antiche tradizioni della loro terra. Mi hanno aiutata a reperire materiale prezioso per le mie ricerche e mi hanno fatta sentire figlia.
Se non fosse stato per tutte le preziose informazioni sul lavoro del cestaio e sulla pizza di Tramonti datemi da Isidoro, che mi ha accolta in casa sua e offerto uno dei pasti più genuini della mia vita, il personaggio di Gennarino non sarebbe nato. Se non avessi visitato il museo della carta di Amalfi e non avessi fatto io stessa, con le mie mani, un foglio di carta bambagina, il personaggio di Nannina sarebbe stato incompleto, del tutto diverso. E se non avessi attraversato i sentieri di Tramonti, innamorandomi del miscuglio di vento e silenzio, dei pergolati di limoni e delle viti ultracentenarie, non avrei sentito l’urlo di Rachele.
Ho scelto di raccontare le Formichelle non dal punto di vista odierno, figlio della salvaguardia dei diritti umani e dell’emancipazione femminile, ma dal punto di vista di quelle stesse donne che hanno fatto dell’abnegazione il perno delle loro vite.
Ho cercato di ancorare lo stile e la lingua agli spazi in cui i personaggi si muovono, e di trasformare la natura e gli eventi in veri e propri amplificatori delle loro voci. Così la ricerca sui vecchi mestieri mi ha consentito di scandagliare lo sguardo stupefatto sul passato di una bambina di oggi, il suo modo di superare una perdita e la paura dell’abbandono. I terrari, piccoli giardini sotto vetro che si autosostengono, mi hanno permesso di far emergere la sensazione di isolamento di una giovane donna, le conseguenze dell’incomunicabilità e l’importanza di accettare che le scelte e i ritmi personali possono non coincidere con le aspettative degli altri. Infine, le pesanti ceste di limoni e i lunghi pali di castagno hanno dato forma alla devozione incondizionata di una donna al proprio lavoro, che nel bene e nel male ha scelto il proprio posto nel mondo e, pur di rimanerci, ha perso di vista tutto il resto.
Questa storia, per gran parte l’ho scritta a mano, con la stilografica e con il taccuino con cui tutto è iniziato. E alla fine, il nome di quell’agenzia letteraria scritto a matita nell’ultima pagina si è trasformato in un volto, in una voce e in un contratto.
Alla fine, io, Ninfa e Alelì abbiamo trovato le nostre strade ripartendo insieme proprio dal sentiero delle formichelle.