Dietro le quinte di “La Strega di Triora”: una voce per le Bagiue di fine ‘500.

di Antonella Forte

20 maggio 2023

Dietro le quinte di “La Strega di Triora”: una voce per le Bagiue di fine ‘500.

Come è successo a molte persone, ho iniziato a scrivere la storia del processo di Triora per riempire le tante ore di solitudine della pandemia. Senza averlo deciso, mi sono seduta alla scrivania e ho cominciato a raccontare le vicende delle streghe, perché stare con loro mi dava la serenità e il coraggio di affrontare i telegiornali. Trentacinque anni fa avevo conosciuto bene Triora e tutta la valle Argentina insieme a mio marito, perché era il luogo d’origine della sua famiglia. Quando i nostri figli erano bambini, i pranzi al sacco sulle rive tra il rio Grognardo e il torrente Argentina erano una festa. Il nostro cane Aki si tuffava felice nelle acque calme, scivolando sulle rocce e inzuppandoci tutti. E dopo la scampagnata andavamo a comprare il famoso pane di Triora e il brusso, una specie di ricotta fermentata tipica del posto.

Fin da allora, la storia delle Bagiue mi trasportava altrove, facendomi sentire una di loro. Così dopo la prima stesura del romanzo mi sono fatta spedire gli atti del processo e mi sono accorta che seppur fossi andata a memoria, sorprendentemente alcuni episodi erano ricostruiti perfettamente. A quel punto ho immaginato le vicende più intime e personali dei personaggi principali, e a mano a mano che scrivevo, senza che lo avessi deciso, Franchetta Borrelli si è presa tutto lo spazio. E via via che il romanzo prendeva forma, io mi trovavo sempre più coinvolta nella sua vita e nella sua personalità, travolta da emozioni e sentimenti come se lei stessa lo stesse dettando. Ho scoperto che nel 1587 Franchetta aveva esattamente la mia età, e questo me l’ha fatta sentire ancora più vicina, finché il libro è diventata la sua storia, in parte fedele alle vicende realmente accadute, in parte immaginata. Era sicuramente una donna forte e coraggiosa e meritava un riconoscimento che andasse oltre il semplice racconto del processo.

E quando il romanzo aveva ormai una forma, mi sono accorta che le streghe di Triora del sedicesimo secolo avevano bisogno di qualcuno che oltre a far conoscere la loro storia e ricordare le violenze, le persecuzioni, i soprusi che avevano sopportato, parlasse con la loro stessa voce. Una voce femminile, che raccontando delle Bagiue avesse in mente quello che le donne sono ancora costrette a subire, per il semplice fatto di essere donne.

 

Alle donne che sono venute, e a quelle che verranno.

Alle donne che amano con tutto il cuore.

Alle donne che l’amore non l’hanno più.

Alle donne che hanno partorito, allattato e cresciuto i figli.

Alle donne che hanno cresciuto figli che non hanno partorito.

Alle donne che non hanno avuto figli.

Alle donne che amano gli animali, e le persone, e quello che pare a loro;

Alle donne che hanno ricominciato.

Alle donne che si sono perse. E a quelle che si sono ritrovate.

Alle donne picchiate, molestate, violate e violentate.

Alle donne oppresse, messe a tacere, obbligate a obbedire, uccise.

Alle donne che si sono ribellate e a quelle che non hanno osato.

Alle donne che hanno gridato ma nessuno le ha sentite.

Alle donne che hanno pianto sole e silenziose.

Alle donne che hanno fatto finta di niente con il cuore a pezzi.

Alle donne che hanno aspettato qualcuno che non è mai arrivato.

Alle donne che sono cadute e si sono rialzate.

Alle donne che sono invecchiate.

Alle donne che si sono ammalate.

Alle donne che hanno avuto paura.

Alle donne che sono cambiate.

Alle donne che hanno cercato di cambiare le cose.

Alle donne che sperano in un futuro migliore.

Dedicato a tutte le donne, che sono una donna sola, che sono la donna.

 

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