Se fossi morta, non sarebbe stato per ipotermia. Lo decisi mentre stipavo il sacco a pelo di piumino sul retro della mia Jeep Wrangler e lo legavo insieme a cinque borsoni contenenti coperte di pile, di ciniglia, di lana, sacchi lenzuolo di seta, scaldadita e tappetini. Assodato che niente sarebbe volato via durante il viaggio di tre ore fino a Idlewilde, chiusi il portellone posteriore e mi pulii le mani sugli shorts di jeans. Il mio nome è Britt, e questa è la mia storia.
#BlackIceIta«Dimmi del campeggio.»
Allontanai bruscamente il bicchiere, fuori dalla sua portata. «Escursionismo.» Mi sembrava importante sottolineare la differenza. A campeggiare erano capaci tutti, mentre l’escursionismo richiedeva grinta e abilità.
«Hai tutto quello che ti serve?» domandò.
«Manca ancora qualcosa.» Alzai le spalle. «Una ragazza ha bisogno del suo lucidalabbra. Faremo trekking per una settimana intera. Abbiamo pianificato un itinerario di sessantacinque chilometri.»
Picchi aguzzi, verticali, s’innalzavano come piramidi innevate. Era uno spettacolo incantevole, mozzafiato, era una scoscesa immensità di alberi, pendii, cielo.
Korbie si sporse dal finestrino con l’iPhone per scattare l’immagine perfetta, poi disse: «Stanotte ho sognato la ragazza uccisa dai vagabondi l’estate scorsa».
«L’istruttrice di rafting?» Macie O’Keeffe. Ricordavo il suo nome per averlo sentito in tutti i telegiornali. Una tipa davvero in gamba, che aveva percorso tutto il tratto fino a Georgetown sulle rapide. Era scomparsa intorno al Labor Day, ai primi di settembre.
«Non ti spaventa l’idea che qualcosa di simile possa capitare anche a noi?»
Non conoscevo Idlewilde senza i signori Versteeg e non riuscivo a immaginare come sarebbe stato soggiornare lì senza l’occhio vigile del capofamiglia a seguirci come un’ombra.
Quella volta saremmo stati soltanto noi ragazzi: niente adulti, niente regole. Un anno prima, restare sola con Calvin per una settimana mi sarebbe sembrato un frutto proibito e pericoloso, una fantasia segreta diventata realtà. Ora non sapevo che cosa aspettarmi, che cosa dirgli quando ci fossimo incrociati in corridoio. Mi domandai se lui temesse quell’idea quanto me.
Avevamo fatto appena tre chilometri quando la pioggia diventò torrenziale. Un rigagnolo scendeva rapido lungo la carreggiata, gli pneumatici sollevavano onde. I tergicristalli non riuscivano a eliminare l’acqua abbastanza in fretta, rendendomi quasi impossibile vedere la strada. Avrei voluto parcheggiare, ma non c’era spazio sufficiente a bordo strada. Mi spostai più a destra possibile, accostai e misi le quattro frecce, augurandomi che chiunque fosse arrivato dietro di noi evitasse di tamponarci.
«Niente panico» mormorai, pensando che quella frase era sempre il primo passo per tirarsi fuori dai guai.
«Diluvia, non c’è campo e siamo in mezzo alle montagne» disse Korbie. «Niente panico, certo.»
Vagammo nella neve per una trentina di minuti.
«Solo un altro pezzetto» la incitai, non per la prima volta. «Vediamo cosa c’è lassù, dietro a quegli alberi.» I fiocchi mi mordevano la pelle. Ogni passo faceva male e il mio cervello cominciò a migrare verso un piano B.
Una luce! Laggiù. Davanti a noi. Non era un miraggio: era reale.
«Delle luci!» dissi, la mia voce fievole nell’aria gelida. Insieme, avanzammo faticosamente tra gli alberi sul terreno cedevole e fradicio. La neve mi si attaccava alle suole, rendendo difficile ogni passo. Una baita! Una baita! Sarebbe andato tutto bene.
Dalle finestre proveniva luce sufficiente a farci intravedere un vecchio camioncino color ruggine sul vialetto, sepolto sotto una coltre bianca. C’era qualcuno in casa.
Poi posta sulla pagina Freeway un contributo fotografico creato rigorosamente da te con una breve descrizione e l’hashtag #BlackIceIta dalle 12 del 23 settembre alle 12 del 26 settembre 2014.
Uno e uno soltanto, il più originale scelto da noi, si aggiudicherà una copia in anteprima di Black Ice, il nuovo romanzo di Becca Fitzpatrick in uscita il 7 ottobre!
#BlackIceItaAnche se ogni centimetro del suo volto tumefatto appariva contratto dal dolore, riuscì a girare la testa e trovò i miei occhi. «Ti ho detto quanto sei bella? La ragazza più sveglia, coraggiosa... e più bella che conosca.» Quella dichiarazione sussurrata mi fece venire le lacrime agli occhi. Mi asciugai il naso con il dorso della mano, annuendo vigorosamente, tentando di mostrarmi sicura. Scacciai dalla mente le mie vere emozioni – disperazione, smarrimento, paura – perché non volevo che me le leggesse negli occhi. «Usciremo di qui» dissi, mentre aggredivo i nodi che gli legavano i polsi.
#BlackIceIta